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Usa, gli obiettivi della guerra in Siria

L’attacco alla Siria è alle porte.

L’ordine del comandante in capo di questa operazione, ovvero il presidente degli Stati Uniti e premio Nobel per la pace Barack Obama, è ormai questione di giorni/ore. Ma, prima di capire a cosa potrà portare questo intervento, è opportuna una riflessione sulle vere motivazioni e sulle possibili conseguenze di un simile intervento.

Potrebbe servire un attacco militare “mirato” per impedire a Bashar Assad di vincere, non per rovesciarlo. Paradossalmente, a sostenere la stessa tesi è nientemeno che l’acerrimo nemico di Israele, Hezbollah. Il leader del movimento libanese in guerra al fianco della Siria, Hassan Nasrallah, fa eco al consigliere israeliano quando sostiene che “Hezbollah non interverrà” se le forze dell’Occidente si limiteranno a un'azione “punitiva” contro il regime di Assad. Se invece l'obiettivo fosse quello di eliminare fisicamente il presidente della Siria, gli sciiti libanesi scateneranno “una guerra infernale”.
Jay Carney, portavoce della Casa Bianca, dichiara: “Le opzioni che stiamo considerando non riguardano un cambiamento di regime”. Dalla Russia la dichiarazione di Vladimir Putin: “la Siria non è argomento all’ordine del giorno” del G20 di San Pietroburgo, che si sta tenendo in questi giorni.

Dunque, pur se malvolentieri, quasi tutte le potenze tollereranno una sorta di spedizione punitiva contro il regime siriano. Guai a toccare Assad, però: “non deve cadere”, è questo che trapela dal Mossad, il servizio segreto di Gerusalemme.
Ma si può “punire” bombardando un Paese come la Siria? Quali gravi conseguenze per la regione? Quale logica ha tutto questo?

Obama ha prospettato un “weekend di paura”.! Ovvero un attacco aereo “limitato” a massicci bombardamenti concentrati in un termine di 60 massimo 90 giorni, volti a debilitare le difese dell’esercito siriano ammonendolo dal fare ulteriormente uso di gas sulla popolazione.
Dunque, solo un deterrente, una punizione senza annientare Assad ed il suo esercito, colpire ma non distruggere. Eppure, non tanto tempo fa, gli Usa dichiaravano che il futuro della Siria non può comprendere Assad. Cosa è accaduto in così poco tempo? In quanto alleati, gli italiani sono a vario titolo coinvolti nell’eventuale attacco alla Siria?.

A cosa si andrà in contro nei prossimi giorni.!
L’attacco annunciato è stato organizzato già da tempo, perché non si organizza in pochi giorni un attacco esemplare, che potrebbe sfociare in un coinvolgimento mondiale. Ma si conoscono tutti gli obiettivi specifici, che missili Tomahawk delle portaerei americane dovrebbero disintegrare?

Gli Usa, ribadiscono che bisogna punire in maniera esemplare chiunque usi armi chimiche infierendo oltremodo sulla popolazione. Nello stesso tempo, il presidente Assad e i suoi uomini “non si devono toccare” devono rimanere al comando per arginare Al Qaeda nel futuro prossimo. Qualora il regime di Assad dovesse cadere, i jihadisti porterebbero disordine e violenza nell’intera regione. Come se questo già non fosse un dato di fatto. Come se i qaedisti non fossero già in Siria, in Iraq, in Libano, in Libia e, almeno in parte, anche in Egitto.
Secondo Israele, vi sono almeno diecimila uomini sul campo che rispondono agli ordini di Al Zawahiri (numero uno di Al Qaeda), e che sono pronti a sfruttare la deposizione manu militari di Assad per fare del Paese una loro base permanente. Questo nessuno lo desidera, né  l’Occidente né l’Oriente.

Per due anni la Siria è stata oggetto di un’aggressione esterna da parte di gruppi di terroristi provenienti da varie zone del mondo islamico, armati da alcuni Stati del Medio Oriente e presentati dalla stampa internazionale come portatori della democrazia, nonostante abbiano poco a che fare con la tolleranza politica e religiosa.
I paesi occidentali hanno manovrato dietro le quinte del conflitto attraverso i propri alleati in Medio Oriente, sostenendo di fatto i cosiddetti “ribelli” con lo scopo di scatenare il caos in Siria, uno Stato colpevole di non essere schierato dalla parte degli USA e di essere un elemento di contrasto, insieme all’Iran, ai progetti statunitensi ed israeliani in Asia.

Gli Stati Uniti vorrebbero infatti porre sotto il proprio controllo le risorse e i mercati di un’area vasta, che dal Mediterraneo si estende fino all’Asia centrale, incuneata tra Russia e Cina e strategicamente fondamentale per gli equilibri di potere internazionali.
Non soddisfatti di aver sostenuto i gruppi armati dell’opposizione al governo di Damasco, gli Stati Uniti, incitati anche dalla Gran Bretagna e dalla Francia, potenze desiderose di rinnovare il loro passato coloniale, vorrebbero intervenire direttamente nel conflitto, per fornire un sostegno ai “ribelli” in un momento in cui sembrano votati alla sconfitta.

Un eventuale bombardamento occidentale potrebbe far degenerare il conflitto, allargandolo al di fuori dei confini siriani e determinando un’escalation che potrebbe mettere a rischio la pace mondiale. Per giustificare l’intervento, viene attribuito al governo di Damascol’utilizzo di armi chimiche contro il suo popolo, senza che venga addotta alcuna prova.
A chi fa comodo la strage di Ghouta? Al governo siriano, ormai in procinto di vincere la guerra contro i “ribelli”, o all’opposizione siriana che vorrebbe scatenare l’intervento diretto degli USA e della NATO? Personalmente sono per una risoluzione pacifica del conflitto, possibile solo se i “ribelli” (col consenso dei paesi che li armano) cessassero la loro aggressione alla Siria. Il Governo e il Parlamento italiano non dovrebbe sostenere interventi armati, ma lavorare per la pace. E intanto, alla chiamata risponde, nel Mediterraneo Orientale già affollato di navi da guerra e sottomarini statunitensi, francesi, russi e turchi, arrivano anche due navi da guerra della Marina italiana. Il cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria e la fregata Maestrale.

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